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Annunciazione di Fra Paolino da Pistoia

Dal vangelo secondo Luca  (Lc. 1-26,37)

 

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”.

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.

Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei.

 

 

“L'Angelo aspetta una risposta; è ormai tempo infatti che ritorni a colui che l'ha mandato. Aspettiamo anche noi una parola di compassione, o Signora.”

San Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia sull’Annunciazione, descrive la trepidante attesa di tutta l’umanità della risposta positiva di Maria all’annuncio dell’ angelo. Da questa risposta dipende la salvezza per l’uomo di tutti i tempi.

La nostra tavola di Fra’ Paolino sembra fotografare proprio questo momento, descritto da san Bernardo, il momento in cui Maria, la giovane di Nazareth sta per dire il suo “Eccomi” a Dio che la chiama.

In una chiara giornata di primavera il cielo tocca la terra e attraverso il sì di Maria questo abbraccio non cesserà più.

L’ambientazione della scena non è la Nazareth di duemila anni fa ma un luogo contemporaneo all’epoca in cui Fra’ Paolino la dipinge e oltre il loggiato si scorge un orizzonte che probabilmente è quello che, se pur semplificato, si vedeva dal luogo dove sorgeva l’Oratorio dell’Annunziata in cui questa tavola era collocata. Si intravede la città di Firenze, con il Cupolone e più vicino la campagna con delle mura che forse sono quelle di San Casciano. Ciò significa che il “sì” di Maria attraversando i secoli e lo spazio giunge fino al presente e fino a San Casciano coinvolgendoci in questo disegno di salvezza che è felicità eterna per ogni uomo, anche per noi che viviamo ancora molti anni dopo.

Un significativo e accattivante particolare della tavola riguarda i quattro angeli, quattro bambini, che giocano col manto del Padre che con atteggiamento benedicente invia la colomba dello Spirito.

Come non sentire risuonare le parole di Gesù “chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”(Mt 18, 1-4).”. Così anche per noi l’invito a far nostro l’atteggiamento di fiducia e di confidenza che i bambini hanno verso il Padre ma anche il richiamo a non smettere mai di occuparci dei più piccoli, della loro educazione e di far sì che sempre mantengano questa confidenza fiduciosa in Dio che è il Padre di tutti.

“E l'angelo si allontanò da lei. “(Lc 1,28) L’ultimo invito per noi lo colgo da Maria e dalla sua fede. Non sappiamo come avvenne l’incontro di Maria con l’angelo. Come le apparve? Qual’era il suo aspetto?  Fra’ Paolino lo raffigura come un bellissimo angelo che riflette una luce che viene da Dio. Qualunque sia stata la modalità dell’incontro dell’angelo con Maria, questo si conclude subito dopo il suo “sì”. Né a Bethlem, né nei lunghi anni di vita normale a Nazareth, né quando Gesù ormai adulto inizia a predicare il vangelo, né sotto la croce, nessun angelo apparirà più a Maria per spiegare, annunciare, consolare… Solo la sua salda fede la sorreggerà e la aiuterà a capire, a mettere insieme i pezzi di una storia così complicata e particolare.

Nel ringraziare tutti coloro che hanno dato il loro contributo per il restauro di questa nostra immagine (gli Amici dei Musei, il Laboratorio di restauro L’Atelier, i tanti fedeli che hanno contribuito con le loro offerte) voglio esprimere tutta la mia gioia per questo evento che non è semplicemente il restauro di un quadro ma molto di più: la possibilità di sostare in preghiera per noi e per coloro che verranno dopo di noi di fronte a questa immagine di Maria e dell’inizio dell’Incarnazione.

È a lei che ancora una volta ci affidiamo guardando la nostra “Annunciazione”, pregando davanti a lei come ormai da cinquecento anni hanno fatto coloro che ci hanno preceduto in questa nostra chiesa.

 

Maria, Madre della Fiducia e dell’Attesa

aiutaci a fidarci di Dio,

aiutaci a dire il nostro “Eccomi”

e a camminare ogni giorno come discepoli del tuo Figlio.

Sappiamo che la strada da percorrere dietro a Gesù

è una strada lunga ma bella

e siamo certi che non camminiamo mai da soli

perché tu vegli sempre su di noi. Amen

 

Don Massimiliano Gori

 

 

L’ “Annunciazione” della chiesa di S. Cassiano in San Casciano in Val di Pesa

 

L’opera, una tempera su tavola, misura cm. 192  in larghezza, per cm.210 in altezza. Fu commissionata al pittore dalla Compagnia della SS. Annunziata che aveva la sede in una cappella eretta sul lato sinistro della collegiata, come ancora oggi possiamo vedere in moltissime chiese. Quando alla fine del 1700 fu deciso di costruire una nuova chiesa, furono demolite la vecchia chiesa parrocchiale ad anche la cappella della Compagnia. Il quadro dell’ Annunciazione venne poi collocato sul secondo altare nella navata di sinistra della nuova chiesa.

Con ogni probabilità appartiene a quel nutrito gruppo di opere portato a termine negli anni che vanno dal 1517 al 1526, quando Fra’ Paolino, divenuto l’erede della bottega di Fra’ Bartolomeo, lavora in S. Marco con l’aiuto di diversi discepoli.

E’ un’opera nata sicuramente nel clima della riforma savonaroliana che ha appunto il suo centro propulsore nel convento domenicano di S. Marco.

Secondo i dettami del Savonarola, già allora considerato un martire e un santo, l’arte doveva seguire ben precise regole: prima di tutto doveva essere “semplice” e guardare al contenuto, perché il soggetto dell’opera d’arte doveva stimolare la meditazione.

Ecco allora questa “semplice” Annunciazione: la Madonna riceve l’annuncio dell’angelo inginocchiata per terra e non seduta su un trono, come vediamo in tanti altri quadri e sculture, non ha un leggio davanti a sé, ma tiene il libriccino delle preghiere direttamente nella mano sinistra. Il pur ricco ambiente architettonico che fa da sfondo alla scena principale viene semplificato e addirittura mortificato con campiture uniformi di colore, quali il grigio delle colonne e dei gradini di pietra e il color sabbia delle volte, quasi per non voler distrarre i fedeli che pregano davanti a questa immagine sacra.

La dolcezza del volto della Vergine, la sua umile posizione, invitano alla meditazione e alla preghiera; la ricchezza delle vesti e dei colori dell’angelo, come pure la bella figura di Dio benedicente sorretto da piccoli angeli, richiamano alla mente il Paradiso: la lezione del Savonarola non poteva essere compresa e realizzata in modo migliore da un artista domenicano di S. Marco!

C’è ancora da notare un’aura vagamente quattrocentesca nella semplicità della scena che potrebbe ricordare l’amato Beato Angelico o Andrea Della Robbia. Anche la figura di Dio Padre che appare sulle nuvole a sinistra ha un gusto antico che guarda più al passato che all’arte cinquecentesca contemporanea: il Rosso Fiorentino aveva terminato nel 1521 la Deposizione di Volterra e Pontormo, proprio in questi anni, porta a termine la Cappella Capponi in Santa Felicita, opere veramente innovative e di ben altro spessore compositivo. La semplicità della composizione è tuttavia arricchita e resa unica dalla bellissima luce che permea tutta la tavola; una luce celestiale che provenendo da sinistra inonda le figure e il paesaggio.

A Vinci, anche qui in un oratorio della Compagnia della SS. Annunziata, abbiamo un’Annunciazione di Fra Paolino, praticamente uguale alla nostra. Il pittore ha adoperato il medesimo cartone apportando soltanto poche variazioni: i due angeli sulla sinistra, il paesaggio sullo sfondo, il pavimento marmoreo; mancano i raggi che da Dio Padre giungono sulla Vergine e la parte superiore del giglio nella mano dell’angelo nunziante. Con ogni probabilità questa Annunciazione  è stata eseguita successivamente alla nostra e pur usando lo stesso cartone, cosa molto normale e accettata dalla committenza, il pittore ha fatto le suddette modifiche.

La minore ampiezza in basso e sui lati del nostro dipinto rispetto a quello di Vinci è indice forse di un minore spazio a disposizione.

I colori della nostra tavola, specialmente dopo il restauro, appaiono molto più chiari e luminosi: le ali dell’angelo, le sue vesti cangianti, il manto bicolore della Madonna, la grazia degli angioletti, dimostrano una grande cura nell’esecuzione.

A proposito del paesaggio che si scorge oltre l’aereo porticato della tavola sancascianese possiamo notare che si tratta di una visione di Firenze che si ha proprio da Sud, dalla collina di San Casciano: sono riconoscibili l’Arno e subito dopo, la mole della cupola brunelleschiana, i palazzi turriti, le colline sullo sfondo. L’alto fortilizio sulla sinistra e la porta potrebbero essere delle mura di San Casciano. Oltre la porta si intravede infatti un tratto di campagna e Firenze ci appare sullo sfondo. La torre sulla sinistra potrebbe essere quella inglobata in seguito nella villa Franchi che conserva, ancora oggi, al suo interno forti strutture medievali.

 

Roberto Cacciatori

 

Fra’ Paolino da Pistoia e l’esperienza savonaroliana

 

Le fiamme che il 23 maggio del 1498 bruciarono il corpo di Gerolamo Savonarola e dei suoi due confratelli in Piazza della Signoria a Firenze non ridussero in cenere anche le sue idee che con forza profetica il frate ferrarese aveva proclamato ad alta voce nelle chiese fiorentine, specialmente dal 1495, gli ultimi 4 anni della sua vita.

Riforma dell’Ordine Domenicano e riforma della Chiesa erano stati gli obiettivi che il Savonarola si era proposto da quando nel luglio del 1491 era stato eletto Priore del Convento di San Marco. Aveva fatto in modo di rendere indipendente il suo convento dalla Congregazione Lombarda per avere campo libero ed attuare le sue idee e riuscì a far partecipare anche i conventi domenicani di Fiesole, S. Gimignano, Pisa e Prato.

Quale era l’idea madre della sua riforma? La povertà e la semplicità. I conventi non dovevano avere possedimenti, se li avevano dovevano venderli e dare il ricavato ai poveri. L’ordine doveva essere rigidamente mendicante e i frati non dovevano possedere di proprio neppure gli oggetti personali.

Idee rigide adatte ad una vita ascetica proclamate con voce forte e tagliente dall’alto dei pulpiti e accolte non soltanto dai suoi confratelli, ma anche da una parte del popolo che prese a seguirlo con entusiasmo. Si ebbero “conversioni” che fecero scalpore, la più nota di tutte forse quella del Botticelli che trascorse gli ultimi anni della sua vita immerso in una crisi mistica rinnegando in parte le idee che lo avevano fatto diventare l’alfiere delle idee umaniste propugnate dalla casata dei Medici e da Lorenzo il Magnifico in particolare. I “roghi delle vanità” voluti dal Savonarola trovarono in Botticelli uno sgomento assertore.

Firenze era allora la capitale culturale dell’Italia; lo stesso Savonarola, venendo per la prima volta a Firenze nel 1482 l’aveva chiamata “cuore d’Italia”, quindi sapeva bene che la cultura e l’arte, in tutte le sue multiformi espressioni avevano grande importanza per la vita della città e del suo popolo. Se c’era bisogno di riformare la Chiesa, la società e il popolo, non poteva essere trascurata l’arte. Nel 1495 scrisse il De simplicitate christianae vitae che contiene ed espone chiaramente le idee portanti adatte alla vita di ogni uomo, dello stato, della Chiesa e quindi anche dell’arte.

I pittori dovevano ricercare la “semplicità” nelle loro composizioni pittoriche dal momento che anche nella pratica dell’arte doveva filtrare il modello morale di vita che il frate propugnava. La pittura quindi doveva essere “devota”, doveva far meditare e per far questo non aveva bisogno di invenzioni ma presentare semplicemente i personaggi sacri ritratti con colori intonati alla serietà della raffigurazione. Tutto ciò era un ritornare qualche passo addietro, un guardare verso i primi anni del Quattrocento, allontanarsi da quei fermenti umanistici innovativi che ancora oggi ci sorprendono per la loro insuperata bellezza.

Queste idee di riforma, come ho detto, non scomparvero avvolte dalle fiamme del rogo in Piazza della Signoria ma rimasero in Firenze e vennero raccolte da artisti che le misero in pratica raggiungendo anche alte vette nel campo artistico come dimostra l’esperienza di Fra’ Bartolomeo che nel convento di San Marco fonda una scuola di pittura in cui lavorerà Fra’ Paolino da Pistoia che sarà il suo successore..

 

Paolo, figlio di Bernardino del Signoraccio, nasce a Pistoia nel 1488 e fin da bambino, come era naturale, frequenta la bottega del padre, pittore piuttosto affermato in città con commesse importanti come le pale per adornare gli altari delle chiese di S. Lorenzo e di S. Felice all’Ombrone.

A Pistoia, attraverso Gerino Gerini, era giunta l’influenza del Perugino a cui Bernardino non è estraneo e il giovane apprendista, Paolo, osserva ed apprende.

A 15  anni, nel 1503, Paolo entra nell’ordine dei Domenicani e diventa fra’ Paolo, più comunemente fra’ Paolino e ben presto si trasferisce a Firenze, forse nel convento di S. Domenico di Fiesole dove c’era anche lo zio materno, Fra’ Agostino, anch’esso pittore.

Nel 1509, testimoniato da un atto notarile, troviamo Fra’ Paolino nel convento di S. Marco a Firenze. Qui opera Fra’ Bartolomeo, il maggiore esponente artisti stico della corrente savonaroliana. C’è anche Mariotto Albertinelli che firmerà nel 1511 insieme a Fra’ Bartolomeo una Annunciazione, ora nel Museo di Ginevra.

Sicuramente Fra’ Paolino entra nella bottega di S. Marco, anche se non sappiamo con quale ruolo.

Il suo primo lavoro documentato è la realizzazione di due statue in terracotta per l’Ospizio di S. Maria Maddalena a Firenze dove sicuramente entra in contatto con Andrea Della Robbia, fervente e noto savonaroliano che, insieme anche a Fra’ Bartolomeo, lavora nel medesimo Ospizio in quell’anno 1513.

Due anni dopo, nel 1515,  Fra’ Paolino ha l’incarico di fare dei restauri alle pitture del Beato Angelico nella sala del capitolo del convento di S. Marco. La “semplicità”  e la devozione dell’Angelico influirà sicuramente sul futuro stile del pittore.

Nel 1517, alla morte di Fra’ Bartolomeo, tutto il materiale grafico della bottega di S. Marco passa in comodato a Fra’ Paolino essendo già morto, da due anni, l’ancor giovane Abertinelli, amico, collaboratore e sicuramente il pittore più vicino allo stile di Fra’ Bartolomeo e destinato ad esserne l’erede.

Fra’ Paolino guarda naturalmente al suo maestro Fra’ Bartolomeo, ma il suo sguardo va ancora più indietro, richiamandosi spesso allo stile dell’Angelico sulle cui pitture aveva lavorato come restauratore.

Fra il 1517 e il 1526, anno in cui il nostro pittore ritorna nella sua città natale, Fra’ Paolino porta a termine numerosi quadri, specialmente per le chiese di provincia, come l’Annunciazione per l’Oratorio della SS. Annunziata di San Casciano; quasi sempre i quadri sono per sedi domenicane o legate ai Domenicani di S. Marco. Sono sempre opere di gusto neoquattrocentesco, rigorosamente “semplici”, ancora più semplici di quelle del suo maestro Fra’ Bartolomeo il cui linguaggio solenne è reso in modo dimesso dall’allievo.

Gli elementi decorativi quasi scompaiono, gli intonaci delle costruzioni hanno campiture lisce, i capitelli delle colonne aggettano quel tanto che basta a sottolineare la loro funzione. Questo modo di stendere il colore nelle architetture è stato definito “classicismo piagnone” un chiaro riferimento al gruppo dei seguaci del Savonarola responsabili dei famosi “roghi delle vanità”; una spiritualità questa congeniale al domenicano Fra’ Paolino.

E’ questo un periodo di intenso lavoro per il nostro artista, con numerose commesse portate a termine: probabilmente con lui operano diversi aiutanti.

Dal 1525 non abbiamo più documenti che attestano la presenza di Fra’ Paolino a Firenze; dal 1530 è documentata la presenza della sua bottega nel convento di S. Domenico di Pistoia. I motivi del trasferimento sono al momento ignoti se si eccettua una richiesta della autorità pistoiesi che sollecitavano la presenza di Fra’ Paolino presso il padre Bernardino.

A Pistoia lo stile pittorico di Fra’ Paolino subisce un cambiamento, almeno nei primi anni: la composizione nella “Sacra Conversazione” nella chiesa di S. Paolo a Pistoia ha una ricchezza inusuale per il frate pittore ed è più “aggiornata” con lo stile del 3° decennio del ‘500.

Con il 1530 i Medici ritornano a Firenze ponendo definitivamente fine al periodo repubblicano, sul soglio pontificio c’è Clemente VII, figlio di Giuliano de’ Medici, che scioglie la Congregazione di S. Marco: inizia la repressione e la fine dell’esperienza del Savonarola anche nei suoi ultimi seguaci.

Ben presto, dopo la grande “Assunzione” del 1532 per il convento di S. Maria del Sasso presso Bibbiena, lo stile di  Fra’ Paolino ritorna ad essere semplificato e rivolto ad esperienze del passato.

Nell’ultima parte della sua vita conobbe Caterina de’ Ricci, una mistica domenicana, canonizzata in seguito, che, devota del Savonarola, avrebbe avuto visioni del frate ferrarese proprio il giorno in cui ricorreva la morte del Savonarola. Nella sua cella del convento di Prato conservava il ritratto del Savonarola dipinto da Fra’ Bartolomeo e regalatole da Francesco Salviati. Tale dipinto oggi si trova in S. Marco a Firenze. L’amore mistico della Santa per il Savonarola legò da ora in poi Caterina a Fra’ Paolino a cui quasi ogni mese scriveva lettere.

Intanto Cosimo I, ormai al potere, caccia i Domenicani da S. Marco e a Firenze si respira un nuovo clima religioso lontano dalle austere idee savonaroliane.

Nel 1547 Fra’ Paolino muore e con lui finisce l’esperienza della “bottega conventuale” domenicana iniziata nel convento di S. Marco da Fra’ Bartolomeo.

 

Roberto Cacciatori

 

Una Annunciazione soave e luminosa

 

Guido Carocci vide l’opera nella Prepositura di S. Cassiano,  per la prima volta nel 1891,  e così la descrive: un olio su tavola di forma rettangolare, opera di scuola fiorentina del secolo XVI collocata nel terzo altare a sinistra entrando, che raffigura una fanciulla inginocchiata davanti ad un angelo che sostiene nella mano sinistra un giglio. Descrizione esauriente, ma stringata per un'opera che mostra, ad un attento esame, caratteri assolutamente singolari e dettagli innovativi. La scena si svolge all'interno di uno spazio architettonico aperto in cui la Vergine, collocata al di sopra di tre ampi scalini oltre i quali si intravvede una porta socchiusa, accoglie la parola divina con profonda umiltà e consapevolezza, ben conscia del compito affidatole.  La giovane donna, dal volto soave, ha lo sguardo assorto, evidenziando  l'accettazione della volontà del Padre. Il  gesto della mano, delicatamente portata al petto, ne accentua l'intensità. Una pioggia di raggi dorati le scende sul cuore e tutto il suo essere è proteso ad ascoltare la parola di Dio. Una parola che solo Lei può ascoltare mentre il mondo, ignaro, continua la propria semplice vita. Così appare dai personaggi   che si scorgono in lontananza, oltre gli archi della architettura  severa e dall'impianto quattrocentesco, così dalla natura semplice, segnata con pochi tratti di colore e di linee che ben rendono la vastità di un mondo inconsapevole di ciò che sta accadendo. Un paesaggio reale sullo sfondo del quale si erge la città fiorentina fatta delle sue case, della sua Cattedrale, del suo  Palazzo Comunale, del suo monte, Morello. Un dipinto singolare, si diceva poc'anzi, ed infatti basta volgere lo sguardo verso il Padre per scorgere una scena veramente unica nel suo genere: fra le pieghe del manto, dallo splendido blu lapislazzuli, un gruppetto di piccoli angeli  dall'aria monella  sbircia curiosa oltre le soffici nuvole. Una scena assolutamente unica nel panorama della produzione di Fra Paolino che ligio alla parola savonaroliana non abbandonò mai la semplificazione compositiva e il lindore dei dettagli. Infatti in nessuna delle altre Annunciazioni a noi note compare un tale particolare: non in quella della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, non in quella più nota di Vinci. Soprattutto in quest'ultima, assai simile alla nostra nella impostazione della Vergine, dell'Angelo Gabriele, del Dio Padre all'interno dell'impianto architettonico,  se ne discosta per la presenza austera e composta dei due angeli  che assistono alla scena. 

 

L’opera si trovava inizialmente nell’Oratorio della SS. Annunziata, annesso alla chiesa di San Cassiano, demoliti entrambi per far posto ad una chiesa più spaziosa e moderna inaugurata nel 1796. Qui la vide il Carocci, il quale ebbe modo di constatare la presenza di pesanti restauri, di vere e proprie ridipinture, che l’avevano alterata  a tal misura da “restaurato com’è il dipinto che in origine non mancava di pregio ha perduto col carattere molta parte della sua importanza”. Sottolinea inoltre che i volti erano stati alterati e parte delle vesti rifatte e rese più brillanti. Al riguardo oggi possiamo aggiungere che tutto il dipinto subì una revisione, comprese le architetture e il Dio Padre circondato dai piccoli angeli. Il Funzionario sottolineò inoltre che il dipinto gli ricordava Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, portando alla nostra attenzione la mancanza di “documenti ricordi che avvallino o contraddicano questa opinione”. Opinione, questa, dettata dalla sensazione provocata dagli interventi che ne offuscavano la piena leggibilità; o  forse opinione condizionata dalla adesione del padre, Bernardino del Signoraccio anch'egli pittore, agli schemi di Domenico. Interessante, ma non possibile a causa della mancanza di documentazione, sarebbe conoscere la provenienza dell'opera.  Fra Paolino, infatti, era un monaco Domenicano, del Convento di San Marco a Firenze e in San Casciano l’ordine domenicano, ma di Santa Maria Novella, aveva costruito e costituito nel 1304 una chiesa, Santa Maria al Prato, con annesso un ospedale e un piccolo convento. Forse il priore aveva simpatie savonaroliane? Sappiamo infatti che Fra Paolino dipinse frequentemente, se non unicamente, per quegli ordini che seguivano la parola del monaco morto nel 1498 sul rogo  di Piazza della Signoria. Inoltre, questione singolare, sulla parete sinistra della chiesa  del Prato è collocata una Madonna in trono col Bambino e i Santi Caterina, Pietro, Maddalena e Bartolomeo apostolo, opera datata 1518. 

Il giovane, nato nel 1488 o '90, indossò gli abiti  monastici nel 1503 nel convento di San Domenico a Pistoia, fu trasferito a Firenze, nel Convento di San Marco, nel 1509, e messo sotto l’egida di Fra Bartolomeo dal quale apprese la cura per il disegno, la prospettiva, la corretta composizione, pur reimpostandoli in una semplificazione  che sempre lo distinguerà.  Nel 1510 è nuovamente a Pistoia, nel 1512 a Firenze, nel 1514 a Pistoia, in una altalena che si concluderà solo nel 1530, quando fu trasferito definitivamente nella città natale, per morirvi nel 1547, probabilmente per desiderio di Cosimo I che osteggiava apertamente le idee di severità morale del Savonarola e si protese al fine di eliminarne ogni ricordo. Gli esordi fiorentini di Fra Paolino lo videro  “plastificatore” e restauratore. Le prime opere a noi note riferiscono di due sculture in terracotta, un San Domenico e una Santa Maddalena del 1513 per la chiesa e convento di Santa Maria Maddalena alle Caldine.  Nel 1515 restaura alcuni affreschi dell’Angelico nella Sala Capitolare del Convento di San Marco, appesantendone il tratto e rendendo meno vibrante il colore. Sotto l'insegnamento di Fra Bartolomeo perfezionò la pittura su tavola, ma apprese, novità assoluta per Firenze, a dipingere direttamente sulla tela, tecnica introdotta da Fra Bartolomeo a seguito di un soggiorno a Venezia, nel 1509, dove dipinse, nel Convento di San Pietro a Murano, un Padre Eterno fra i santi Caterina da Siena e Caterina d’Alessandria.  Nel 1516  è a Siena nel Convento Osservante di Santo Spirito nel quale affresca, con l'aiuto del converso Fra Agostino,  il monumento funebre per Cherubino Ridolfi da Narni, una Crocifissione con ai lati san Giovanni Evangelista e la Vergine Maria,  e un dipinto su tavola, una Madonna con Santa Caterina d’Alessandria, datata al 1512 ed attualmente nella Pinacoteca senese. Nel  1517 Fra Bartolomeo muore e Fra Paolino ne ereditò la bottega compresa  di cartoni e di materiale per dipingere. Nel 1519 porta a compimento la  Deposizione dalla croce fra San Giovanni, la Maddalena (santa che compare frequentemente nelle opere domenicane per il significato di redenzione dal peccato) San Domenico e San Tommaso d'Aquino, opera iniziata da Fra Bartolomeo per la chiesa domenicana della Maddalena alle Caldine  il 21 luglio 1519, oggi conservata al Museo dell'Accademia di Firenze. Dello stesso anno è l' Assunzione per i domenicani di santa Maria del Sasso presso Bibbiena, anche questa tavola iniziata da Fra Bartolomeo e conclusa da Fra Paolino.

Il  1525 fu un anno particolarmente prolifico in cui portò a compimento una tavola con la Madonna con il Bambino fra santa Lucia e alcuni santi domenicani, nel Santuario di Santa Maria del Sasso a Bibbiena,  due opere per il convento di san Domenico a San Gimignano, passate dopo le soppressioni napoleoniche,  nella chiesa di San Agostino e in quella di Santa Lucia,  la tavola per la Collegiata di  San Cassiano e la tavola di Vinci per il Santuario della Santissima Annunziata.

Del 1526 è l'adorazione dei Magi che si trova nella Cappella del Santissimo Sacramento a Pistoia in San Domenico; del 1528 è la sontuosa tavola nella chiesa di San Paolo a Pistoia con la Madonna circondata da santi, fra i quali compare  un ritratto di profilo del Savonarola.

Del 1539 è l' Adorazione dei Magi nella cappella Melani a san Domenico a Pistoia. Nella medesima chiesa di San Domenico si trova un'altra opera raffigurante un Crocifisso con la Vergine e San Giovanni e San Tommaso d'Aquino; del 1543 è la tavola di Viterbo, nella chiesa di Santa Maria della Quercia con l'Incoronazione della Vergine circondata da angeli e cherubini e  molti santi domenicani in contemplazione. Sempre di  quegli anni è la tavola, conservata a Palazzo Pitti, con il Matrimonio mistico di Santa Caterina da Siena, Maria Maddalena, Santa Apollonia, San Domenico, San Pietro martire e Santa Cecilia, per il convento di san Domenico a Pistoia; per la chiesa di Cutigliano il domenicano dipinto la Madonna in trono circondata da S. Sebastiano, S. Rocco, S. Domenico, S. Michele Arcangelo e  San Giovanni. Battista.

Nel Commentario delle Vite del Vasari è citata, risalente al  1543, un' opera  collocata nella stanza delle udienze del Palazzo  Comunale di Pistoia in cui è rappresentata la Madonna in trono con il Bambino e i Santi Jacopo, Zeno, Agata, Eulalia, (una fanciulla martire spagnola) e Giovanni Battista.

Gli ultimi decenni, relegato a Pistoia, furono difficili per il nostro che, osteggiato apertamente da Cosimo I che nel 1540 aveva allontanato i frati domenicani dal Convento di S. Marco,  fu ostacolato, anche se non impedito, nella possibilità di operare. Tuttavia  questo non fu un peso per il maturo maestro sostenuto da una profonda e intensa corrispondenza epistolare con Caterina de' Ricci, mistica domenicana nel Convento di Prato, che lo arricchì spiritualmente e che, indirettamente, gli permise di mantenere alcuni contatti che non lo lasciarono mai privo di committenze. Committenze che gli permisero di esprimersi con una libertà maggiore rispetto alla severità dei primi decenni, in una liberalità che si riscontra frequentemente fra gli artisti più maturi e curiosi di sperimentare, in misura indubbiamente differente fra artista e artista, nuove tecniche e nuove impostazioni compositive.

 

Maria Pia Zaccheddu

 

La tavola dell’Annunciazione di Frà Paolino da Pistoia è una delle opere più preziose della propositura; è collocata nella cappella della Madonna ed è visibile al massimo del suo splendore grazie ad un recente restauro. E’ stata realizzata probabilmente nel 1519 seguendo le idee della riforma del Savonarola secondo il quale le opere d’arte dovevano essere semplici e stimolare alla meditazione interiore.

Ecco quindi che la scena viene rappresentata priva di ogni ricchezza: l’ambiente architettonico, anche se ampio e profondo, viene semplificato grazie all’uso di una colorazione grigia uniforme;  la posizione della Madonna, che riceve l’annuncio dall’angelo è  umile, inginocchiata per terra e tiene semplicemente nella mano sinistra il libriccino delle preghiere invitando l’osservatore alla meditazione sul grande mistero dell’Incarnazione. L’angelo Gabriele, con una bellissima veste, appena giunto dal cielo con le sue ali colorate, si inginocchia davanti a Maria. L’opera è completata nella parte superiore dalla bella figura di Dio Padre, sorretto da degli angioletti pieni di vita, allegoria del paradiso, dal quale parte un raggio di luce che illumina la Madonna.

 

Ragazzi Liceo Scientifico Niccolò Rodolico

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